L’abbiamo imparata a conoscere nel 2014 con la missione Rosetta dell’Agenzia Spaziale Europea, una delle imprese di esplorazione spaziale tra le più epiche e longeve della storia. L’abbiamo seguita, fotografata, studiata e monitorata per due anni da molto vicino e perfino sulla sua superficie fino al settembre 2016. L’abbiamo vista ritornare nel nostro cielo nel novembre scorso, al suo massimo avvicinamento al Sole. Noi del GAL Hassin l’abbiamo fotografata a dicembre. Si tratta della cometa 67P/Churyumov-Gerasimenko, passata alla storia come la cometa di Rosetta o, semplicemente, la cometa Chury.
Non lo si sapeva, ma ora ne siamo certi. Grazie ad uno studio di laboratorio è stato possibile confermare la fotodissociazione della molecola del carbonio biatomico C2, estremamente elusiva e mai osservata prima, responsabile del colore verde che si osserva in alcune chiome di comete, tra cui la cometa di Rosetta.
Fotografata la notte del 30 dicembre tra le 23:50 e le 01:20 (ora italiana) con il telescopio Galhassin Robotic Telescope 1 (GRT1) da Alessandro Nastasi della Fondazione GAL Hassin, la cometa 67P/Churyumov-Gerasimenko si trovava a una distanza di circa 71,5 milioni di chilometri dalla Terra, con una luminosità pari a +12 di magnitudine e una velocità di 32 km/s. 34 immagini sono state riprese nel corso di circa 90 minuti di puntamento in diversi filtri. Successivamente, queste immagini sono state calibrate, mediate ed elaborate da Mario Lauriano, studente del Dipartimento di Fisica dell’Università degli Studi di Palermo per creare un’immagine LRGB (che sta per Luminance, Red, Green, Blue, i filtri utilizzati).
“I colori di una immagine astronomica non hanno solo un’importanza estetica” spiega Alessandro Nastasi “ma risultano indicativi dei differenti processi fisico-chimici in atto nell’atmosfera della cometa”.
Il carbonio può formare una molecola biatomica, il C2, molecola instabile nella nostra atmosfera per le temperature e pressioni esistenti. Nella chioma delle comete, invece, il C2 rimane stabile ed è possibile osservarlo. Quando viene eccitato, il biossido di carbonio riemette l’energia assorbita rilasciando radiazione elettromagnetica che l’occhio umano percepisce di colore verde. Questa radiazione elettromagnetica va sotto il nome di bande di Swan, dal nome del fisico che per primo ne studiò lo spettro nel lontano 1856.
Quando la radiazione solare colpisce il nucleo della cometa, il ghiaccio e la materia organica che si trovano sulla sua superficie iniziano a sublimare, ossia vi è il passaggio dallo stato solido allo stato gassoso. Nel momento in cui le molecole organiche complesse passano nella chioma vengono scisse dalla radiazione del Sole in carbonio biatomico. In definitiva, solo quando la cometa si avvicina al Sole si inizia a registrare la presenza della molecola C2. “L’immagine LRGB della cometa 67P ha una chioma che è marcatamente verde, mentre la coda di ioni tende al colore blu e la coda di polveri al colore giallo” racconta Alessandro Nastasi. “Sia la coda di ioni che la coda di polveri si formano in conseguenza dell’interazione del vento solare e della pressione di radiazione con la regione nucleare, ma non assumono il colore verde della chioma perché la molecola di C2 non fa in tempo a passare alla coda che viene dissociata dalla radiazione ultravioletta del Sole in poche ore, si stima in 24-30 ore alla distanza di 1 unità astronomica dal Sole, che rappresenta la distanza media Terra-Sole, pari a quasi 150 milioni di chilometri”. Si spiega così il motivo per cui non esistono comete con le code verdi: le molecole di biossido di carbonio hanno una vita troppo breve per arrivare fino alla coda. Anche la spettacolare cometa C/2021 A1 Leonard, passata al perielio il 3 gennaio 2022 e disintegrata completamente il 25 marzo scorso, presentava una chioma di colore verde.
“Nell’immagine LRGB ottenuta con il GRT1 della cometa 67P” – continua Alessandro Nastasi – “si osservano non una, bensì due code di polveri: una centrale, più spessa, che si estende in parte anche verso il basso e un’altra, più rarefatta e laterale, in alto a destra. Questo effetto non è solitamente visibile nelle comete: si ipotizza che si formi dalla presenza di grani di polvere di diverse dimensioni: i grani più piccoli vengono allontanati immediatamente dal nucleo da parte del vento solare, creando la coda in alto, più rarefatta e allineata con l’orbita della cometa. I grani più grandi, invece, rimangono intorno al nucleo per più tempo creando un fronte che viene ‘compresso’ verso il basso e risulta responsabile della coda centrale”.
La cometa 67P/Churyumov-Gerasimenko ritornerà nel punto di minima distanza dalla Terra fra circa 6 anni. Siamo quasi certi che le sorprese non mancheranno.
Bibliografia
Code verdi non ne ho viste mai – Media INAF, di Albino Carbognani
Sta tornando nei nostri cieli la cometa di Rosetta, Media INAF, di Marco Malaspina
Photodissociation of dicarbon: How nature breaks an unusual multiple bond, di Jasmin Borsovszky, Klaas Nauta, Jun Jiang, Christopher S. Hansen, Laura K. McKemmish, Robert W. Field, John F. Stanton, Scott H. Kable e Timothy W. Schmidt, Proceedings of the National Academy of Sciences